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La storia del Jazz

Arrigo Polillo, nato nel 1919, si è occupato attivamente di jazz per oltre trent'anni,
molto noto nel mondo del jazz internazionale.
Laureato in legge all'Università di Milano e giornalista, dopo la fine della guerra affiancò
subito Gian Carlo Testoni nella conduzione del mensile "Musica jazz", di cui è stato
direttore. Collaboratore di numerosi quotidiani e riviste italiani e stranieri, ha scritto
anche alcuni libri: L'Enciclopedia del jazz (1952), con altri autori; Il jazz moderno -
Musica del dopoguerra (1958); Jazz -La vicenda e i protagonisti della musica
afro-americana (1975); La storia del jazz in 5 audiolibri (1976) che potrete ascoltare qui sotto.

Polillo ha anche svolto
un'intensa attività come organizzatore di una trentina di grandi festival del jazz
internazionali e di centinaia di concerti a cui hanno partecipato i più famosi nomi del jazz americano

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Il Glossario del Jazz

Acutista: in una Big band si riferisce al trombettista che nella sezione delle trombe si è specializzato nelle note più alte del suo strumento. Solitamente l’acutista non improvvisa.
Anatole: vedi Rhythm Changes, può essere anche sinonimo di forma canzone AABA
Ballad: tempo lento, il tema viene esposto ad ottavi uguali, non enfatizzando la pronuncia swing.
Background: sottofondo, materiale secondario, stabilito a priori e scritto, o quantomeno definito precisamente, sul quale improvvisa il solista, naturalmente i B.G possono essere anche improvvisati, in questo caso è probabile siano costituiti da sequenze di Riffs.
Backup: vedi Background.
Bebop (anche rebop o bop): stile jazzistico definitosi verso la metà degli anni quaranta. Alcuni aspetti, legati al fraseggio e a certe procedure esecutive, derivate dalla concezione elaborata da musicisti come Charlie “Bird” Parker, Dizzy Gillespie, Kenny Clarke e Bud Powell, rappresentano tutt’ora il parametro di riferimento del linguaggio del Jazz postbellico.
Beat: battito, pulsazione. Nel gergo jazzistico non ha nulla a che vedere col movimento della musica giovanile pop/rock degli anni ‘60/’70 ma indica la scansione della battuta, e in senso lato anche lo Swing.

Big band: anche stage band, dagli anni ’30 rappresenta l’organico più vasto normalmente in uso nel Jazz. La sua composizione tipica vede 4 trombe, 4 tromboni, (brass) 5 saxofoni di cui 2 alti, 2 tenori, un baritono (reeds), e la sezione ritmica (piano, basso e batteria, la chitarra, è presente nell’organico fino agli anni ’50, da allora è divenuta di raro impiego). Esistono comunque alcune varianti dell’organico che possono andare dalla presenza di un numero maggiore di ottoni, all’uso di strumenti a percussione, tastiere elettroniche, sezioni di corni, tuba. Solitamente i membri della sezione delle ance si occupano di suonare anche altri strumenti, il clarinetto fino agli anni ’50 e poi soprattutto il saxofono soprano ed il flauto. Le prime parti, e quasi sempre la prima tromba, difficilmente ricoprono un ruolo solistico.
Block Chords: tecnica pianistica, mutata da un procedimento di armonizzazione per Big Band. La melodia viene solitamente raddoppiata al basso, un’ottava sotto e le parti interne si muovono omoritmicamente, le note estranee all’accordo e quelle di passaggio solitamente armonizzate con un modello di accordo diminuito. Contrariamente alla prassi consueta, che vuole la mano destra impegnata a suonare il blocco dell’accordo e la melodia, affidando alla sinistra il solo raddoppio, Bill Evans, che era mancino, faceva esattamente il contrario…
Blues: forma di verso cantato, di solito, ma non necessariamente, basata su dodici battute suddivise in tre gruppi e diffuso almeno dalla fine dell’ottocento in tutte le comunità di colore degli Stati Uniti. Nel Jazz moderno, persi gli aspetti più legati al folklore, rappresenta sostanzialmente una forma di dodici misure con una struttura accordale soggetta a varianti ma immutabile nella sostanza. In generale il blues è connotato armonicamente da una struttura di tipo modale, nella quale l’accordo di settima di dominante gioca un ruolo ambiguo.
Blue notes: nella tradizione del blues e del Jazz delle origini, l’abbassamento di un semitono della terza della quinta e della settima dell’accordo, l’origine di questa procedura deriva presumibilmente da un modello di scala pentatonica sovrapposta ai modelli occidentali diatonici, a questo proposito le perplessità dei musicologi più attendibili rendono del tutto plausibile qualsiasi teoria. L’utilizzo delle “Blue notes”, almeno viste come materiale qualificante del linguaggio jazzistico, è ormai raro e circoscritto alla scena del Blues e al Jazz tradizionale.
Break: rottura, spezzatura. Caratteristica del Jazz dei primordi, si tratta una breve figura, che difficilmente durava più di due misure, suonata da uno dei musicisti che si staccava dal collettivo. In un certo senso rappresenta la forma aurorale dell’ assolo. È importante rilevare che il break è sempre inserito nella forma, quindi non si trattava di misure aggiuntive. I Breaks non erano necessariamente improvvisati, perlopiù scritti erano quelli leggendari eseguiti da King Oliver e Louis Armstrong con la Creole Jazz Band. Tra i maestri del Jazz delle origini fu Jelly Roll Morton a esplorare al massimo delle possibilità l’utilizzo dei Breaks, che sovente ricoprono un importanza strutturale nei suoi arrangiamenti e nelle opere pianistiche.
Bridge: anche Inside, Channel (in italiano Inciso), la parte centrale della forma canzone tradizionale AABA. Nella sua accezione più classica è costituito da una struttura di accordi modulanti e da materiale melodico nuovo, spesso comunque secondario rispetto alla parte A, fino all’estrema conseguenza (non rara dal Bebop in avanti) di Bridges costituiti semplicemente da griglie di accordi sulle quali il solista improvvisa. Esistono comunque casi di Bridges di rilevante qualità melodica, soprattutto nelle composizioni originali, (”Round about midnight” di Monk, “Prelude to a kiss” di Ellington) così come possiamo trovare Bridges costruiti su strutture armoniche di interesse non marginale (”Have you meet miss Jones” di Rodgers, costruito su un ciclo di accordi che modula per terze maggiori).
Bounce: termine desueto, che indicava un brano suonato a tempo moderato o lento, ma mantenendo accentuata la scansione Swing.

Combo: piccolo gruppo, dal trio all’ottetto.
Changes: la struttura armonica di un brano, gli accordi e per accezione anche le modifiche all’armonizzazione di un dato brano o i patterns armonici caratteristici di un certo musicista. Es: Coltrane’s Changes sta per il ciclo di accordi, costituito da una sequenza I–IIIm-IV-ecc.che John Coltrane impiegò diffusamente negli anni ’60.
Chase: vedi Trading four
Chorus: il ritornello, ma più esattamente il numero delle battute del pezzo che diviene l’unità formale e sul quale si ricava una griglia di accordi sui quali improvvisare. Solitamente corrisponde esattamente alla forma, ma esistono casi (per esempio brani con un numero di battute irregolari) nei quali può essere semplificato, l’esempio più comune è probabilmente “I Got Rhythm” di G. Gershwin, del quale viene espunta la breve coda di due battute, conclusiva alla ultima A.
Cool: termine gergale, usato negli Stati Uniti non solo dai jazzisti. La traduzione più sensata sarebbe “figo” ma anche “rilassato”, “fresco”. Venne chiamato Cool Jazz quello suonato negli anni ’50 dai musicisti, bianchi soprattutto, che gravitavano intorno alla scuola di Lennie Tristano.
L’ antinomia “Jazz caldo” (Hot), “Jazz freddo” (cool), rappresenta tuttora l’incubo delle conversazioni ferroviarie dei musicisti. ” Ah…. quindi lei è un jazzista! E suona Jazz caldo o Jazz freddo?”
Comping, comp: accompagnare, accompagnamento, si trova scritto nelle parti della sezione ritmica, soprattutto nei brani per Big band.

Cup: sordina per ottoni, di fibra, relativamente poco usata negli ultimi decenni.
Dixieland: la parte Sud degli Stati Uniti, termine di origine incerta. Nella storia del Jazz il Dixieland fu per estensione tutta la musica suonata da musicisti del Sud che si rifacevano alle pratiche di improvvisazione collettiva di New Orleans, oggi con questo termine si preferisce riferirsi al movimento dei musicisti bianchi che si rifanno allo stile delle origini.
Ensemble: il “tutti” della Big Band, spesso omoritmico, normalmente caratterizzato da una scrittura a quattro o cinque parti, disposte strette o semilate, con le sezioni degli ottoni che procedono raddoppiando le voci. La sezione dei saxofoni può suonare una contromelodia.
Fill, Fill in: riempire, anche commentare. Se è scritto in un arrangiamento indica la richiesta di improvvisare brevemente, di solito sugli accordi, riempiendo lo spazio stabilito, non si tratta di un vero e proprio assolo quanto piuttosto di una sorta di commento. Un esempio tipico di Fill in, del tutto improvvisato, si ha quando uno strumento a fiato suona in sottofondo di una voce che esegue il tema principale, o in Big band quando il batterista interviene preparando l’entrata di una sezione. Free Jazz: il titolo di un disco di Ornette Coleman che per estensione indicò i movimenti (spesso assolutamente distanti tra loro per concezione, riferimenti ideologici e criteri estetici) del Jazz di avanguardia, statunitense quanto europeo, degli anni ’60 e ’70.
Funk, Funky: termine gergale, in uso fin dalle origini del Jazz per indicare un tipo di brani, o comunque un approccio espressivo, rude e legato al Blues. Dalla fine degli anni ’60 indica anche uno stile jazzistico ibridato con il rock (impropriamente i termini Jazz rock, Fusion e Funk, sono divenuti sinonimi nell’uso comune).

Groove: si intende una musica o un musicista in grado di creare una potente empatia con l'ascoltatore tramite il solo linguaggio ritmico.
Growl: effetto ottenibile sugli ottoni cantando, o meglio, vocalizzando nel bocchino contemporaneamente alla normale emissione del suono. Questa sonorità del tutto peculiare e sconosciuta alla musica prima del Jazz è parte integrante dello stile di molti musicisti delle origini ed in particolare di alcuni membri dell’orchestra di Edward “Duke” Ellington.
Head arrangiaments: arrangiamento orale, non fissato sulla carta, di solito basato su riffs o semplici giochi di botta e risposta tra sezioni. Caratteristici di certe orchestre pre-swing come quella di Fletcher Henderson o il primo Basie.
Hard Bop: letteralmente bop “duro” termine omnicomprensivo, in grado di contenere praticamente tutto il Jazz suonato dagli anni ’50 ad oggi che non abbia manifestato o dichiarato esplicitamente di non essere tale. Nelle sue manifestazioni più genuine e creative, come i Jazz Messengers di Art Blakey, i Gruppi di Horace Silver, i fratelli Adderly, si tratta di una espansione delle prassi del Bebop, (solista accompagnato dalla ritmica, materiale armonico ricavato da Standards, poco o nessun interesse rivolto all’arrangiamento), nella cui sintassi venivano fatti confluire anche influenze legate alla musica religiosa dei neri statunitensi, ai ritmi latini e afrocubani, al Rhythm & blues, con un rinnovato interesse verso la composizione originale e l’arrangiamento per piccolo gruppo.
Harmon: sordina per tromba e trombone (di raro impiego su questo strumento) costruita in metallo, viene inserita nella campana dove resta ferma grazie ad alcune striscie di sughero. Come tutte le sordine procura qualche difficoltà di intonazione, soprattutto nel registro grave. Il massimo esponente ne è stato senza dubbio Miles Davis, la cui poetica si giovò spesso del suono piccante ma intimo prodotto con l’ausilio della Harmon.
Hi Hat: sono i piatti a pedale usati nel set di batteria, in italiano vengono spesso chiamati “charleston”
Hot: termine desueto che si utilizzava per identificare un tipo di Jazz viscerale e lontano dalle presunte ricercatezze del Cool. Non usatelo, per favore!
Kick, Kicks: letteralmente “calcio”, (in italiano anche lancio) negli arrangiamenti è l’indicazione, soprattutto nelle parti della sezione ritmica, che richiede l’esecuzione di un disegno del quale non sono indicate le note o comunque hanno meno importanza dell’aspetto ritmico.
Jam session: in inglese sta per “disordine” “situazione informale” “casino”. Nel Jazz una Jam session è quando i musicisti si incontrano per suonare senza aver nulla di preordinato, di solito basandosi su temi e griglie di accordi molto conosciuti (Standards).
Jazz Waltz: anche in precedenza non mancano esempi di qualche rilievo, i musicisti di Jazz hanno iniziato a fare un uso intenso del tempo ternario solo dagli anni’50, restando in realtà più prossimi ad una pulsazione di 6/8 o 6/4 piuttosto che a qualcosa di effettivamente derivato dal valzer. Il pattern più caratteristico è la divisione della battuta di ¾ in 2 quarti puntati.
Interlude: interludio, significato ovvio. Vedi anche Special
Intro: introduzione, basata su materiale modulante spesso non caratterizzata melodicamente. Solitamente affidata alla sezione ritmica, al solo pianoforte o, nel caso della Big band, ad una o più sezioni che non eseguiranno il tema principale
Latin: con le sue possibili varianti (Afro, Even eigth, Bossa nova) è un andamento basato su ottavi uguali. La sezione ritmica elabora un disegno caratteristico, spesso ostinato, basato su varianti del disegno quarto puntato-ottavo evitando il basso che si muove per quarti caratteristico del Walking bass.
Lay back: qualcosa di simile al ritenuto classico, si tratta di eseguire le note con un lieve ma percettibile ritardo rispetto alla scansione del Beat.
Lick, licks: motto, breve frase caratteristica, normalmente più legata ad aspetti idiomatici che ad una vera organizzazione del linguaggio. Vedi anche pattern.
Mainstream: letteralmente strada maestra, principale, con questo termine si intende una concezione stilistica e di conseguenza una prassi esecutiva che si pone equidistante tanto dall’avanguardia quanto dallo stile più arcaico, se fino agli anni ’60 un musicista mainstream si rifaceva soprattutto allo Swing, negli ultimi anni è il bebop ad essere il linguaggio più vicino alla definizione di strada maestra.
Open, open chorus: negli arrangiamenti indica che il solista sarà libero di decidere la durata del proprio assolo, ritornellando il Chorus a suo piacimento.

Ostinato: è un breve disegno musicale (un motivo, un inciso, un disegno d'accompagnamento) ripetuta ad oltranza senza modificarne altezza e ritmo.
Pattern: qualcosa come “frase fatta”, in sostanza una serie di intervalli ordinati in maniera da essere facilmente permutabili, utilizzabili per lo studio e, debitamente riorganizzati, anche per l’improvvisazione. Ogni musicista di Jazz dotato di una certa personalità possiede i suoi patterns che lo rendono riconoscibile. Vedi anche Lick.
Pick up: non è quello del giradischi, ma sta per un Break, normalmente costruito sul tournaround conclusivo del chorus. In pratica: la sezione ritmica tace ed il solista inizia il suo solo lanciando se stesso dalle misure immediatamente precedenti l’inizio del chorus.
Plunger: tipo di sordina per tromba e trombone. Come dichiarato dalla parola ha effettivamente a che fare con gli idraulici, essendo il più delle volte costituita dalla ventosa in gomma di uno sturalavandino. Confusa spesso con la Wha-Wha é fondamentale per gli effetti growl che caratterizzano il cosiddetto stile Jungle di Ellington. Ne esistono anche modelli realizzati in fibra ed in metallo.
Pop, Popular: spesso confuso con Rock, almeno in Italia, nei paesi anglosassoni significa sostanzialmente musica commerciale, leggera, in pratica tutta quella che non è Classica o Jazz (e nemmeno Rock o Folk), a partire degli anni ’30 i Jazzisti hanno tratto dal repertorio popular i brani divenuti Standards.
Pulse: pulsazione, nelle forme di Jazz dell’avanguardia storica (conseguenti al percorso artistico di Ornette Coleman) ha sostituito la scansione regolare dei quarti, la sezione ritmica “pulsa” (per l’appunto) suonando intorno al beat che è presente ma implicito.
Rhythm changes: (chiamato anche Anatole in Italia), forma-song AABA basata sulla griglia armonica di I Got Rhythm di G.Gerswhin, esistono centinaia di pezzi che costruiti su questi accordi, di solito su tempo veloce.
Riff: breve frase, che può essere costituita da poche note che si dispiegano su un paio di battute al massimo. Essenzialmente basata su un idea ritmica, costituisce l’essenza di certi arrangiamenti, soprattutto nel periodo dello Swing, utilizzata come background sotto i solisti ma anche come materiale tematico vero e proprio.
Shout Chorus: una delle convenzioni della scrittura tradizionale per Big band è che nella parte conclusiva di un arrangiamento il tema principale non venga riesposto in maniera testuale, ma sostituito con un ensemble, solitamente piuttosto denso per orchestrazione e dinamica, costruito su materiale derivato da quello tematico. I motivi vanno ricercati, oltre all’esigenza di creare varietà nell'organizzazione dell’arrangiamento, anche al tempo limitato consentito dalle incisioni sui dischi a 78 giri le quali, nei tre minuti scarsi che potevano contenere, lasciavano spazio per una esposizione tematica, un paio di assoli e un ensemble. Nel caso di una ripetizione del tema iniziale alcuni di questi elementi non avrebbe trovato posto.
Shuffle: tempo medio, incalzante ma rilassato, la sezione ritmica procede per quarti piuttosto definiti ed uguali, nella batteria è evidente il disegno (di solito non abituale), ottavo puntato-sedicesimo sia pure interpretato come una sorta di terzina.
Special: Negli arrangiamenti, tanto per Big Band quanto per piccolo gruppo, si chiama special un episodio, a carattere virtuosistico, nel quale viene mantenuta la griglia armonica e la forma del chorus. Può essere confuso con l’interludio, che però di regola dovrebbe implicare del materiale armonico diverso dal chorus e spesso più statico o basato su pedali.
Standard: brano proveniente dal patrimonio della musica commerciale statunitense (e non solo) usato dai Jazzisti per improvvisare o per comporre brani nuovi sui cicli di accordi derivati. Si intende come standard (correttamente “Jazz standard”) anche una composizione originale (di”autore”) che abbia raggiunto una grande diffusione entrando nel repertorio Jazzistico.
Straight: Straight music è per i musicisti americani, quella più commerciale, da ballo, potremmo tradurla con “ballo liscio” se questo termine italiano non fosse connotato da certo carattere nazional-popolare estraneo al suo corrispettivo d’oltreoceano. La sordina per ottoni così chiamata è invece costruita in metallo, di forma conica e viene usata soprattutto nella musica classica. Il Jazz la utilizzò nelle sezioni dei brass durante lo Swing.
Strofa: in inglese Verse è la parte introduttiva delle canzoni, con una funzione affine al recitativo e anche per questo spesso di poco interesse melodico. Abitualmente nel Jazz non viene utilizzata per improvvisare e nemmeno eseguita.
Sub-tone: effetto del saxofono, come un morbido soffiato, utilizzato soprattutto nei fondali orchestrali o nelle esposizioni di ballads.
Swing: musicologicalmente parlando arrangiatevi voi a trovare una definizione…dal punto di vista storico si chiamò Swing la maniera del Jazz dalla metà degli anni ’30, fino al Bebop.
Trading four (T. Eight): gli scambi tra strumenti e in modo particolare tra i solisti e la batteria, rispettano il chorus. Chiamati anche Chase.
Tournaround, Tournback: breve ciclo di accordi, solitamente I (IIIm)-VI-IIm-V7, utilizzato nelle ultime battute del Chorus per ripartire con quello successivo. Utilizzato anche nelle code ad libitum, e nelle introduzioni, anche modulante.
Vamp: spesso utilizzata nelle introduzioni e nelle code il Vamp è una semplice figura ritmico-melodica, (spesso con un basso obbligato e basata su uno o due accordi), che viene ripetuta ad libitum e sulla quale il solista può improvvisare anche a lungo.
Vocalese: stile vocale, che ebbe un certo successo negli anni ’50, che consisteva nel rivestire di parole famosi assoli strumentali.
Tag: breve sezione conclusiva, coda aggiunta ad un brano.
Verse: strofa.
Wha–Wha: sordina per ottoni, spesso confusa con la Plunger è costruita in metallo, e provvista di un piccolo foro aprendo o chiudendo il quale si ottiene il caratteristico effetto. Relativamente in disuso dagli anni ’40.
Walking bass: il basso ambulante, che si muove per quarti più o meno regolari costruendo linee che attraversano gli accordi, rappresenta una delle procedure che più caratterizzano la prassi esecutiva del Jazz.

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